Corsa all’Intelligenza Artificiale: l’era dell’AI Delirium e l’impatto sui bilanci delle Big Tech

Fonte: The Market Ear, 2024

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale ha spinto le principali aziende tecnologiche mondiali a un’accelerazione senza precedenti negli investimenti, segnando l’inizio di una nuova era: quella dell’AI Delirium. A differenza delle fasi precedenti dell’innovazione digitale, in cui l’incremento della spesa era accompagnato da una chiara roadmap di ritorno sugli investimenti (ROI), oggi si assiste a un fenomeno inedito: capex miliardari su modelli AI che non hanno ancora una chiara monetizzazione. Il report pubblicato da The Market Ear solleva una domanda cruciale: “Wait, where is the ROI?” — dov’è finito il ritorno sull’investimento?

Il buco nero dell’AI nei bilanci di Big Tech

Meta, Alphabet, Microsoft e Amazon — i membri del cosiddetto “trillion-dollar club” — hanno avviato una vera e propria corsa all’infrastruttura, ai modelli linguistici e alle acquisizioni nel settore AI. Tuttavia, ciò che sembrava un vantaggio competitivo si sta trasformando in una pressione crescente sui flussi di cassa.

Meta, ad esempio, ha generato nel 2023 circa 91,3 miliardi di dollari di cash flow operativo, ma ha speso 39 miliardi in capex e 35 miliardi in buyback e dividendi. Per il 2024, prevede una crescita del capex tra i 60 e i 65 miliardi di dollari, con un incremento superiore al 60%. Una dinamica che mette a rischio l’equilibrio tra investimenti, remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria​.

Alphabet ha seguito una traiettoria simile: quasi l’intero cash flow operativo è stato impiegato in spese in conto capitale, dividendi e riacquisto di azioni. Nel 2024, prevede un capex da 75 miliardi, mentre Microsoft e Amazon, pur avendo più margine, vedranno assottigliarsi rapidamente il loro “cuscinetto” di liquidità man mano che l’AI diventerà il nuovo standard competitivo. Queste aziende hanno, sì, riserve di cassa abbondanti, ma come osserva The Information, anche queste potrebbero esaurirsi più velocemente del previsto​.

L’infrastruttura AI e il debito: progetti colossali, ritorni incerti

L’AI non è un software che si sviluppa con risorse modeste: è un’infrastruttura complessa che richiede data center, chip avanzati, modelli computazionalmente intensivi e personale altamente specializzato. Meta, ancora una volta in prima linea, ha discusso la costruzione di un campus di data center da 200 miliardi di dollari, e sta negoziando con Apollo un finanziamento da 35 miliardi in debito per sostenere questi progetti​.

Anche Microsoft, Nvidia, xAI (la società fondata da Elon Musk) e Blackstone stanno lavorando su un fondo per infrastrutture AI da 30 miliardi di dollari, con ambizione di arrivare fino a 100 miliardi. Il rischio è che l’efficienza marginale degli investimenti diminuisca, e che le grandi tech si trovino a costruire asset che non genereranno valore sufficiente fino all’arrivo — ancora ipotetico — dell’AGI (Artificial General Intelligence).

Modelli ovunque, monetizzazione da definire

Il settore è ormai invaso da una proliferazione incontrollata di modelli linguistici, in cui ogni azienda sembra voler costruire il proprio modello fondazionale, senza una chiara differenziazione. OpenAI ha recentemente rilasciato o3 e o4 Mini, modelli multimodali capaci di ragionamento, tool usage e interazione su più livelli. Google ha risposto con Gemini 2.5 Flash, una versione più efficiente e scalabile del modello Pro​.

Tuttavia, The Market Ear osserva che il ritmo con cui questi modelli vengono sviluppati e lanciati supera la capacità dei team di prodotto di descriverli, testarli e integrarli nel ciclo economico. Il mercato si trova in uno stato di “artificial general confusion”: gli aggiornamenti sono costanti, i benchmark sono temporanei, e la saturazione rischia di vanificare il vantaggio competitivo derivante dall’essere i primi.

Strategie di M&A: l’AI come leva per concentrazione industriale

Oltre ai capex diretti, le Big Tech stanno usando l’AI come giustificazione per espandere la loro presenza tramite acquisizioni. Secondo indiscrezioni, OpenAI starebbe valutando l’acquisto di Windsurf, una startup specializzata in completamento di codice, per 3 miliardi di dollari. Inoltre, si vocifera che Sam Altman voglia trasformare l’enorme base utenti di ChatGPT in una piattaforma sociale, un’idea che richiama alla mente la strategia integrata di super-app, già vista in Cina con WeChat​.

Geopolitica e regolamentazione: la partita si gioca anche fuori dai bilanci

Infine, il report richiama l’attenzione anche sul lato oscuro della competizione AI: la sfida geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Come denunciato da David Sacks, consulente della Casa Bianca, la Cina continua a ottenere chip americani grazie a una rete di società di facciata che aggirano le restrizioni. Molte aziende occidentali sembrano ignorare — o tollerare — queste pratiche, pur di non perdere opportunità di business​.


Conclusioni: tra hype, infrastruttura e ritorni

Il paradigma odierno ricorda il famoso mantra “move fast and break things”, ma con una variazione pericolosa: “move fast and torch the balance sheet”. Siamo in una fase in cui i modelli di IA vengono sviluppati più velocemente di quanto possano essere monetizzati, e dove il capitale viene bruciato su promesse future di produttività e automazione che non hanno ancora trovato una loro forma stabile nel business model delle Big Tech.

Il rischio più grande non è solo finanziario, ma strategico: senza un disegno chiaro su cosa debba fare davvero l’AI, quanto valore possa generare e in quali settori, anche le aziende più ricche del pianeta potrebbero trovarsi invischiate in un ciclo insostenibile di spese, rincorsa alla leadership tecnologica e pressioni crescenti da parte degli azionisti.

Il nodo, ora, è capire quanto tempo ancora il mercato sarà disposto ad attendere prima di vedere veri ritorni su questi investimenti.